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EBREI
Tribù semita di pastori nomadi, affine
agli aramei, che secondo la tradizione biblica, intorno al 1800 a.C.,
partendo dai pressi di Ur (antica città sumera della Mesopotamia
meridionale) si diresse verso la Siria e il Mediterraneo. Narra la Genesi,
primo libro delle loro Sacre scritture (Bibbia),
che, guidati da Abramo, raggiunsero la terra di Canaan (Palestina), terra
promessa loro da Dio (Jhwh). Fin da questo momento, infatti, gli ebrei
avrebbero seguito un culto monolatrico (venerato, cioè, un solo
Dio, pur ammettendo l'esistenza di altri dei). Dalla Palestina, dopo l'epoca
dei patriarchi (Abramo, Isacco e Giacobbe), migrarono in Egitto stabilendosi
pacificamente in quel paese (XVIII-XIII secolo a.C.). Cambiata la situazione
politica sotto i faraoni Ramsete II e Meneptah e divenuti vittime di una
persecuzione, sotto la guida di Mosè decisero di tornare in Palestina,
attraversando il deserto del Sinai. Qui Mosè dette al suo popolo
una legge scritta (dettatagli, secondo la Bibbia, dallo stesso Jhwh, che
gli si rivelò con la formula "Io sono colui che sono"), istituì
una casta sacerdotale (leviti) e un luogo di culto (l'arca dell'alleanza).
Sotto la guida di Giosuè gli ebrei iniziarono la riconquista della
Palestina contro cananei, moabiti, idumei, ammoniti, aramei e filistei.
La "guerra santa" proseguì durante il periodo dei giudici (tra
cui Gedeone, Sansone e Samuele) e dei re (Saul, Davide e Salomone). Sotto
il regno di Davide (1010-970 a.C.) si consolidò lo stato di Israele
che acquisì Gerusalemme come capitale. Salomone (970-931 a.C.)
portò all'apogeo la potenza ebraica e costruì il celebre
Tempio in cui fu custodita l'arca dell'alleanza. Alla sua morte, però,
l'unità politica venne meno e al nord si costituì un regno
d'Israele, con capitale Samaria, mentre al sud Gerusalemme fu la capitale
del regno di Giuda. I due regni ebraici, spesso in guerra fra loro, furono
facile preda dell'espansionismo assiro: nel 722 Sargon II conquistò
Israele, deportando gran parte della popolazione in Mesopotamia (prima
diaspora), e nel 701 Sennacherib sottomise Giuda, trasformandolo in uno
stato vassallo dell'Assiria. Tra il IX e il VII secolo alla decadenza
politica si accompagnò una crisi morale e religiosa (penetrazione
di culti e divinità straniere, tra cui il fenicio Baal, introdotto
dalla regina Jezabel). A questa situazione reagirono i "profeti" comparsi
numerosi in entrambi i regni (Elia, Eliseo, Amos e Osea in Israele, Isaia,
Michea, Geremia ed Ezechiele nel regno di Giuda); la loro predicazione
operò tra l'altro la trasformazione dell'ebraismo da religione
monolatrica "nazionale" in religione monoteista universale (esiste un
unico Dio, lo stesso per tutti gli uomini). Il regno di Giuda, intanto,
dopo essere passato dal dominio assiro a quello egiziano, venne conquistato
da Nabucodonosor, re di Babilonia (605). Pochi anni dopo, in seguito a
una ribellione, Gerusalemme fu saccheggiata, il Tempio distrutto e la
maggior parte della popolazione deportata a Babele (587).
DALLA CATTIVITÁ BABILONESE ALLA GRANDE DIASPORA. La "cattività
babilonese" (587-538) ebbe termine con la conquista di Babilonia da parte
dei persiani il cui re, Ciro, permise il ritorno degli ebrei in Palestina.
Ma non esisté più uno stato ebraico e il potere fu esercitato,
di fatto, dalla casta sacerdotale e dal gran sacerdote. Si acuirono, inoltre,
le divisioni e gli attriti tra le varie correnti dottrinali, in primo
luogo quella fra ortodossi e samaritani. Il crollo dell'impero persiano,
a opera di Alessandro Magno (332), inserì la Palestina nel regno
ellenistico dei Tolomei d'Egitto (312): ad Alessandria si insediò
una numerosa comunità ebraica nella quale si fusero, in una sintesi
originale, tradizione biblica e cultura greca. Al dominio dei Tolomei
seguì quello dei sovrani ellenistici di Siria, i Seleucidi (198),
che, con Antioco IV Epifane (174-164), tentarono di ellenizzare la Palestina:
il Tempio (nel frattempo ricostruito) fu saccheggiato, sconsacrato e dedicato
a Zeus olimpo, furono proibite la circoncisione e la festa del sabato,
Gerusalemme venne occupata militarmente. La rivolta dei Maccabei (i tre
fratelli Giuda, Gionata e Simone) mise fine al dominio Seleucide (141).
Ma il nuovo stato ebraico risultò profondamente diviso da dispute
religiose (sadducei, farisei, esseni, asidei) e politiche (guerra civile
tra i fratelli Aristobulo II e Ircano II, 69-67 a.C.). Nel 63 a.C., Pompeo
Magno impose il protettorato romano alla Giudea. Seguirono una serie di
re sotto protezione romana, tra cui Erode (37 a.C. - 4 d.C.), il riedificatore
del Tempio (il terzo Tempio), sotto il cui regno nacque Gesù di
Nazareth. Nell'anno 1 d.C. Augusto trasformò la Giudea in provincia
romana, governata da un procuratore residente a Cesarea Marittima: furono
lasciati comunque al gran sacerdote e al sinedrio (assemblea ebraica)
ampi poteri legislativi, amministrativi e giudiziari. Nasceva intanto
una nuova setta politico-religiosa, gli zeloti, che animò la resistenza
contro l'occupazione romana. Nel 66 d.C. scoppiò una grande rivolta,
soffocata nel sangue da Vespasiano e Tito (70). Le fonti antiche parlano
di 600.000 morti e di decine di migliaia di ebrei venduti come schiavi.
Il Tempio venne di nuovo, e definitivamente, distrutto (ne restò
il solo Muro del pianto). Sotto l'imperatore Adriano, una seconda rivolta,
capeggiata da Bar Kokbra (132-135), portò alla totale scomparsa
della Giudea. La stessa Gerusalemme, ribattezzata Aelia capitolina
fu vietata ai figli d'Israele. Ebbe così inizio la grande diaspora
(dispersione, disseminazione) degli ebrei nel mondo. Le due "guerre giudaiche",
d'altra parte, erano state combattute da Roma per motivi politici e non
religiosi: un gran sacerdote (patriarca) e un nuovo sinedrio, con sede
a Tiberiade (nella Galilea), conservarono la loro autorità sugli
ebrei della diaspora. Comunità ebraiche comparvero in tutte le
città dell'impero, fino a Treviri e Colonia (Renania), e con l'editto
di Caracalla (212) gli ebrei diventarono cittadini romani a pieno titolo.
Ma con la diaspora, iniziava anche la lotta degli ebrei per conservare
la propria identità in ambiente ostile.
DIVERSI MA TOLLERATI. L'atteggiamento della chiesa nei loro confronti
fu fin dal principio duplice: agli ebrei venivano attribuite le colpe
di miscredenza e deicidio, ma non c'era dubbio che essi erano stati prima
dei cristiani il popolo eletto e che attraverso i loro profeti Dio aveva
dettato l'Antico Testamento, la base del Vangelo. La chiesa fu perciò
favorevole alla loro progressiva emarginazione dalla vita civile, ma fu
contraria a sopprimere la loro libertà di culto. La Spagna visigotica
costituì un caso a sé: qui sin dal 613 il concilio dei vescovi
di Toledo praticò una politica di conversioni forzate, divenuta
particolarmente intensa dal 694 e interrotta nel 711 dalla conquista arabo-berbera.
Maometto aveva scacciato gli ebrei dall'Arabia, ma questi erano stati
successivamente considerati, insieme ai cristiani, un "popolo del libro"
cui attribuire lo statuto di "protetto" (dhimmi). Agli ebrei spagnoli
(sefarditi) furono imposti alcuni segni formali di inferiorità,
ma di fatto occuparono un ruolo molto elevato nell'amministrazione statale,
nelle professioni (come quella di medico), nel mondo della scienza e della
filosofia. Nel X-XI secolo piccole comunità ebraiche vivevano in
Italia e nelle città tedesche (ashkenaziti)
e fu in queste ultime che nel 1096 si verificarono i primi casi di sommosse
popolari antiebraiche (pogrom). L'annuncio della prima crociata (1095)
fu trasformato in un tentativo di rigenerare la cristianità, sopprimendo
per mezzo della conversione forzata le minoranze ebraiche, alle quali
fu posta l'alternativa fra il battesimo e la morte e che spesso preferirono
il suicidio collettivo. I massacri e gli incendi di sinagoghe del 1096
restarono un episodio isolato, non favorito dalla chiesa e dagli imperatori,
ma posero le basi dell'antigiudaismo europeo del Medioevo, che vedeva
negli ebrei (la cui vita separata appariva misteriosa) dei nemici irriducibili
del cristianesimo e li accusava di alcuni delitti caratteristici, come
la profanazione dell'ostia consacrata e l'omicidio rituale di bambini.
I sovrani in genere stabilirono per gli ebrei uno statuto giuridico che
ne faceva allo stesso tempo loro servi e loro protetti. Esclusi dalle
corporazioni e dal possesso di servi, gli ebrei si diedero al piccolo
commercio e soprattutto al prestito a interesse; proibito dalla chiesa
ai cristiani come usura ma consentito agli ebrei, ai quali quindi i sovrani
potevano rivolgersi quando avevano bisogno di credito. La situazione degli
ebrei peggiorò ovunque nel XIII e XIV secolo. Il concilio
Laterano IV (1215) impose loro di portare un segno di riconoscimento
(un cerchio di stoffa gialla cucito sull'abito); i sovrani li espulsero
di frequente, confiscandone i beni e annullandone i crediti; lo sviluppo
delle banche italiane ridusse l'importanza dei loro servizi. Espulsi definitivamente
dall'Inghilterra e dalla Francia nel 1290 e nel 1322, continuarono a essere
ammessi nelle città di Provenza e Germania, fino a che la comparsa
della peste nera nel 1348 non avviò qui una nuova andata di pogrom:
accusati di aver provocato volontariamente l'epidemia, gli ebrei furono
ovunque massacrati.
PERSEGUITATI. Un'isola di relativa tranquillità era rimasta
nel XIII-XIV secolo la Spagna. L'invasione dei fanatici berberi Almohadi,
nel 1146, aveva posto fine alla pace assicurata dai califfi di Cordova,
ma gli ebrei erano emigrati nella parte già dominata dai principi
cristiani che li avevano accolti favorevolmente, proteggendoli e allo
stesso tempo sfruttandoli come fonte di reddito. Essendo loro proibita
la proprietà terriera, vivevano solo nelle città, dove esercitavano
i commerci e il prestito. Nel 1391 un grande pogrom castigliano mutò
di colpo la situazione. Dal 1412 i re di Castiglia attuarono una politica
di conversioni forzate e per renderla più efficace moltiplicarono
i divieti e le pratiche di emarginazione. L'istituzione dell'' Inquisizione
spagnola (1480), incaricata di controllare che i convertiti non continuassero
a "giudaizzare" di nascosto, ne palesò il fallimento. I re Ferdinando
e Isabella decisero allora di separare drasticamente i conversos
dagli ebrei e nel 1492 ordinarono a questi ultimi di convertirsi entro
quattro mesi oppure di lasciare la Spagna. Un numero di ebrei stimato
variamente fra i 70 e i 170 mila dovette allora lasciare il paese, derubato
di tutti i suoi averi dato che era proibito partire con metalli preziosi
(sui conversos che restarono si abbatterono poi gli statuti di
limpieza de sangre). La maggioranza degli esuli furono ammessi in Portogallo,
ma quattro anni dopo furono tutti battezzati a forza, senza l'alternativa
dell'esilio. Il pogrom di Lisbona nel 1506 e l'introduzione dell'Inquisizione
nel 1536 li indussero poi a fuggire verso l'impero turco (Istanbul, Salonicco)
e in parte verso i Paesi bassi e l'Italia centrosettentrionale. Qui, dopo
le espulsioni dalla Spagna, dalla Sicilia, dalla Provenza e dal regno
di Napoli, si unirono alle piccole comunità preesistenti. Molte
città italiane autorizzarono gli ebrei ad aprire banchi di prestito
(nonostante l'opposizione dei francescani, che già dalla metà
del Quattrocento avevano aperto i loro monti di pietà) e li ammisero
con un segno distintivo e quartieri separati. L'apertura del ghetto di
Venezia nel 1516 (seguito da quelli di Roma, Ancona, Ferrara) segnò
una nuova era per gli ebrei italiani, più emarginati (con il divieto
di possedere terra e immobili) ma in un certo senso più protetti.
Soltanto il porto franco di Livorno li ammise senza segno giallo e senza
ghetto. Di breve durata fu invece la presenza degli ebrei portoghesi ad
Anversa, da dove furono espulsi nel 1549, trasferendosi ad Amsterdam,
che divenne per loro il luogo di maggiore sicurezza e libertà.
Restava invece instabile la situazione degli ashkenaziti nelle città
tedesche, dove la Riforma protestante accrebbe i motivi antiebraici e
dove si alternarono espulsioni e riammissioni. Venivano dalla Germania
gli ebrei che nel Seicento crearono le comunità di Vienna e Praga.
Resta invece in gran parte difficilmente spiegabile la provenienza degli
ebrei dell'Europa orientale che parlavano lo jiddisch,
in Polonia-Lituania, Russia bianca, Ucraina, Ungheria e Romania. Solo
poche migliaia a fine Quattrocento, erano già centomila un secolo
dopo; prima delle spartizioni del 1772-1795 i soli ebrei di Polonia-Lituania
erano un milione, assai più numerosi di quelli dell'Europa occidentale.
Sicuramente in parte di origine tedesca, ma anche (secondo alcuni storici)
discendenti dei chazari, essi vivevano non
in città ma nelle campagne ed erano affittuari e gestori delle
terre signorili, intermediari fra la nobiltà e i servi.
L'EMANCIPAZIONE. Fra XVI e XVII secolo la situazione degli ebrei
venne a mutare in due stati europei. In Francia i sefarditi erano stati
riammessi nelle città meridionali, mentre a Metz e in altre città
alsaziane si erano formate piccole comunità ashkenazite. In Inghilterra
gli ebrei portoghesi furono riammessi nel 1655 da Cromwell. Nel secolo
successivo la cultura illuministica e i movimenti riformatori giocarono
a favore dell'emancipazione ebraica. Il ghetto e tutte le altre proibizioni
apparivano sempre più come un prodotto dell'oscuro Medioevo, che
andava eliminato; ma allo stesso tempo anche l'ebraismo appariva una sopravvivenza,
una religione arcaica coinvolta nella stessa critica che gli illuministi
portavano al cristianesimo; agli ebrei si offriva ora la possibilità
di diventare cittadini a pieno titolo, seguendo la via dell'assimilazione
e accettando di perdere la propria diversificazione di popolo eletto.
L'età dell'emancipazione fu aperta nell'impero asburgico nel 1783
dall'Editto di tolleranza di Giuseppe II che concedeva loro (con poche
limitazioni) la cittadinanza. La Francia rivoluzionaria ne fece nel 1790-1791
dei cittadini a pieno titolo, soggetti a tutti i diritti e doveri dei
francesi. In età napoleonica l'emancipazione si estese alle regioni
integrate all'impero e alla Germania meridionale, affermandosi nel 1812
anche in Prussia (con la sola esclusione dagli uffici pubblici). La Restaurazione
segnò una battuta d'arresto, ma la logica dell'assimilazione spinse
in Germania molti ebrei alla conversione al protestantesimo, che aprì
loro le professioni liberali e l'attività intellettuale. L'emancipazione
fu totale in Austria-Ungheria dal 1867 e in Germania dal 1870. In Inghilterra
un ebreo convertito (B. Disraeli) fu eletto deputato nel 1837 e divenne
primo ministro nel 1867; dal 1866 l'abolizione del Test Act anglicano
consentì anche agli ebrei (oltre che ai cattolici) di percorrere
la carriera politica. Anche in Italia gli ebrei furono emancipati e nel
1870 fu abolito il ghetto di Roma.
RUSSIA E STATI UNITI. A fine Ottocento restava un'eccezione: la
Russia, dove l'antiebraismo aveva ancora tratti medievali. Sugli ebrei
dell'Ucrania si erano scatenati i pogrom sin dal momento della sua annessione
nel 1648; ma dopo la spartizione della Polonia la minoranza ebraica in
Russia crebbe a cinque milioni di individui entro il XIX secolo. Soggetti
a vessazioni di ogni genere, gli ebrei russi cominciarono dal 1882 a sperimentare
la violenza dei pogrom, nei quali il fanatismo popolare era spesso fomentato
dalla polizia segreta zarista. Già dal 1865 gli ebrei più
poveri avevano cominciato a emigrare dalla Russia verso gli Stati uniti,
raggiungendo gli ebrei tedeschi che vi erano emigrati fra il 1840 e il
1860 per le stesse ragioni di povertà; dopo i pogrom del 1882-1883
e ancor più dopo quelli del 1903 e 1905, il timore delle violenze
si venne ad aggiungere alle altre spinte all'emigrazione. Mentre l'ondata
tedesca aveva riguardato circa centomila persone, quella russa portò
fra il 1865 e il 1915 all'emigrazione di due milioni di persone. La loro
americanizzazione, come già era accaduto in precedenza agli ebrei
tedeschi, fu molto rapida; gli americani anglosassoni avevano d'altra
parte una scarsa predisposizione all'antisemitismo, in gran parte per
il ruolo speciale che la Bibbia aveva nella cultura calvinista, che faceva
preferire gli ebrei ai papisti irlandesi e italiani. Ottenuta la cittadinanza,
gli immigrati non trovarono ostacoli di principio alla piena uguaglianza
politica.
L'ANTISEMITISMO. Compariva intanto in Europa occidentale la forma
moderna dell' antisemitismo, che trovava fondamento nelle dottrine razziste
e alimento nell'inquietudine che in molti strati sociali provocava la
rapida trasformazione dei modi di vita imposta dalle nuove fasi dell'industrializzazione.
La vecchia equazione fra ebreo e denaro produceva le nuove immagini della
finanza internazionale ebraica e del capitalismo ebraico, destinate a
colpire efficacemente in Austria e in Germania non solo i ceti medi ma
anche parte della classe operaia (secondo la formula l'antisemitismo è
il socialismo degli imbecilli). La comparsa nei parlamenti di questi due
paesi di partiti antisemiti e più ancora l'affaire Dreyfus fecero
percepire a molti ebrei il fallimento del progetto di assimilazione e
furono in parte alle origini del movimento sionista (sionismo). La paura
della rivoluzione bolscevica, percepita da molti come diretta da uno stato
maggiore essenzialmente ebraico, produsse fra il 1917 e il 1921 un'intensa
fase di antisemitismo nei maggiori paesi europei e, negli anni Venti,
persino negli Stati uniti. Nel 1933 giungeva addirittura al potere in
Germania il nazionalsocialismo, che poneva l'antisemitismo al centro della
propria ideologia, stabilendo una diretta equazione fra ebraismo, capitalismo
e comunismo: dalle leggi di Norimberga (1935) alla notte dei cristalli
(1938), dall'invasione della Polonia all'organizzazione della soluzione
finale, esso programmò la distruzione dal popolo ebreo in Europa,
con la complicità dei governi collaborazionisti nei paesi occupati
tra il 1940 e il 1944. Solo nel 1947 la ripresa dell'emigrazione ebraica
in Palestina aprì il capitolo nuovo della proclamazione e del controverso
riconoscimento internazionale dello Stato di Israele (1948).
P. Concetti, S. Guarracino, E. Jucci

R. Labimani, Storia dell'ebreo errante, Rusconi, Milano 1987;
A. Milano, Storia degli ebrei in Italia, Einaudi, Torino 1992; L.
Poliakov, Storia dell'antisemitismo (1955-1977), La Nuova Italia,
Firenze 1974-1990; A. Foa, Ebrei in Europa. Dalla peste nera all'emancipazione,
Laterza, Roma-Bari 1992; J. Israel, Gli ebrei d'Europa nell'età
moderna, Il Mulino, Bologna 1991; A. Hertzberg, Gli ebrei in America.
Storia, cultura, società, Bompiani, Milano 1993.
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